ISABELLA SPATAFORA

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NOTE  BIOGRAFICHE

Isabella Spatafora nasce nel 1935 in Sicilia,  a Caltagirone.
E’ dotata di precocissimo talento. In prima elementare la Maestra Mineo, colpita dalle sue capacità artistiche, la manda nelle altre classi a disegnare alla lavagna. Nello stesso anno viene avviata privatamente allo studio del violino.
A quindici anni abbandona lo studio del violino per dedicarsi interamente alla propria vocazione per le arti  visive, riuscendo ad ottenere, grazie alla sua determinazione, l’iscrizione alla Scuola d’Arte per la Ceramica, al tempo riservata ai soli maschi. Sotto la guida dello scultore Gianni Ballarò impara a disegnare e modellare; nel frattempo sostiene gli esami al Liceo Artistico di Palermo fino al conseguimento del diploma. Dall’insegnante di Nudo dal vero verrà soprannominata "Luca fa presto" (come il seicentesco Luca Giordano) per la rapidità nell’eseguire i suoi lavori.
A quegli anni risalgono i suoi primi riconoscimenti: il secondo premio alla Prima Mostra Regionale Siciliana della Ceramica, un diploma di merito "Ceramica Contemporanea Principato di Monaco" rilasciato da S.A.S. il Principe Ranieri III, una personale di pittura in un Circolo della sua città dove espone opere ad olio.
Per cinque anni insegna disegno in Sicilia, si sposa e ha una figlia. In breve però lascerà scuola e famiglia  per intraprendere una nuova vita all’estero, dove per sopravvivere lavorerà in fabbrica. Rientrata in Italia nel ’60, si stabilisce definitivamente a Milano insieme alla figlia. Qui, negli anni ‘61/62, frequenterà il 1° Superiore di affresco della Scuola Civica del Castello Sforzesco di Milano del professor Bertazzoni e lavorerà, per vivere,  nello studio dell’architetto Luisa Castiglioni.  Riprenderà a insegnare in varie scuole medie, collaborando contemporaneamente con uno studio di ingegneri e architetti. Il sessantotto la vede anche impegnata per alcuni anni in attività politica. Negli anni '70 il suo lavoro artistico è improntato ad un breve periodo picassiano dedicato a temi sociali.
Sarà dunque  Milano la patria d’adozione dove riprenderà il suo percorso personale di pittrice.


IL PERCORSO ARTISTICO

Milano tra gli anni ’60 e ’80 è un territorio ricco di fermenti artistici, di opportunità di incontri e scambi culturali. Qui la giovane artista  ha modo di conoscere innumerevoli percorsi creativi,  che la sua prepotente memoria visiva registra, pur non trovandoli sempre affini alle proprie idee.
Con la nascita del Sindacato Artisti, al n°3 di via Solferino, Spatafora ha l’opportunità di partecipare a mostre collettive degli iscritti (il cosiddetto accrochage secondo Raffaele De Grada), nonché a mostre personali in Circoli Culturali di periferia.       
Nel 1965, presentata da Raffaele De Grada, tiene una personale alla galleria Pater di Milano (dove, tra gli altri, esposero Manzoni, Fontana, Baj, Bonalumi). Scrive De Grada a proposito dei suoi lavori di allora:
"Le visioni lucide, distese in superfici lisce e razionali di Isabella Spatafora si richiamano all’astrattismo tipico degli anni ’30. I nomi di Radice e di Reggiani sono fin troppo ovvi.  Ma la Spatafora non è una pittrice astratta. Essa vuole anzi guarire dal male astrattista prima di tutto la sua coscienza, che è nutrita di una visione ben precisa e reale (…) di una realtà che si presenta oggettiva e ben  strutturata alla sua intuizione pittorica. Ricomporre un mondo disgregato, rappresentare in purezza una cosa vista e ripensata (…) Siamo più avanti del buon compiacimento pittorico (…) Siamo invece di fronte ad una personalità che indica con forza una strada, quella della struttura visiva semplificata da ogni forma di pittoresco, che è piuttosto insolita."
In quegli anni partecipa inoltre a vari concorsi a premi su iniziativa di case editrici, riviste e librerie. Sul catalogo Art '80 (Edizioni Lombardia Arte - Milano) viene pubblicata un'opera ad olio titolata "Napoli 1979", in occasione di un'epidemia di virus sinciziale, mortale per i bambini. Molte opere di quel periodo sono state gettate via, e altre sono introvabili.
Ma il mondo dell’ Art business non è fatto per lei: Spatafora è un’artista "pura", indifferente agli allettamenti commerciali del mondo dei galleristi e del collezionismo. Le opere monotematiche e seriali non l’attraggono, così come l’arte materica e concettuale. Pur immersa in un mondo di immagini disparate, dalle quali la sua creatività assorbe un immenso patrimonio di stimoli, resta tenacemente fedele alla propria libertà espressiva nel seguire un suo personalissimo percorso di ricerca. I primi anni milanesi saranno perciò un periodo complesso, che Isabella ricorda come una sorta di sipario nero, il bordo di un precipizio dove comunque tornare indietro è più vitale che lanciarsi nel vuoto. Molte volte si fermerà, per poi ricominciare con nuovi slanci.
" La sua vita d’altra parte è tutta un movimento, un viaggio, come dichiara lei stessa, un procedere a scatti, fermandosi molte volte per ricominciare… Se ciò non ha favorito la sua "carriera" dentro il "sistema dell’arte" – libertà che lei stessa ha preferito ad ogni cosa – sicuramente l’ha fatta procedere nella conoscenza, mai paga delle mete raggiunte, ma sempre interrogandosi  "sulle cose che non ha mai fatto in vita sua" (Domenico Amoroso, già Direttore dei Musei Civici di Caltagirone - MACC).
Negli anni ’80 apre l’atelier "Asinasorbella", ironico anagramma del suo doppio nome Rosina Isabella, dove riceve gli amici per mostrare  i propri lavori in acrilico, denominati "Impedimenti e Passatempi". Per i "Passatempi", oltre all'acrilico usa materiali di riciclo, legno, cornici, tessuti… (creazioni senza tempo e senza progetto) che ancora oggi produce.
Non smette mai però di essere curiosa, di interrogarsi su ciò che non ha mai fatto in vita sua. Così di nuovo ricomincia, eseguendo copie, peraltro pregevoli, di autori illustri, benché lontanissimi fra loro: Caravaggio, Millais, J.W.Waterhouse, Hopper, Donghi.. Spesso queste opere le vengono richieste da conoscenti, altri amici le commissionano ritratti, ma per Isabella è questo un modo di spingersi oltre, per ripensare alle forme, alle luci e alle ombre, alle passate esperienze del modellare, a tecniche pittoriche mai da lei utilizzate. In particolare trova nella tecnica delle "velature" il modo più congeniale per esprimere il proprio universo poetico nella fase di piena maturità della sua espressione artistica.
Appartengono a questa fase lavori originali di grande freschezza come la serie dei quadri di Camogli, dove piccole figure umane di grande impatto visivo si stagliano su sfondi di mare/cielo o antiche muraglie, esprimendo in una breve istantanea un mondo di emozioni e significati. E’ chiara l’ispirazione a Hopper, ma che qui si trasforma in originali bozzetti  immersi in un clima mediterraneo, dove non predomina l’angoscia  della solitudine urbana, bensì una gioiosa sensazione di vita.
Tra il 2008 e il 2009, nel corso delle giornate nella sua stanza di lavoro, osserva la luce che vi entra, a sprazzi: vi sono giochi di luce che vibrano sulle piccole superfici del locale, che colpiscono i suoi dipinti appoggiati qua e là, dando luogo ad esiti visivi inaspettati, i riflessi provenienti dai vetri della casa di fronte... nasce così l’esigenza di catturare questi istanti e fissarli sulla tela.
Nel marzo 2009 Isabella espone a san Giorgio di Mantova, nello spazio del ristorante OPERA GHIOTTA, una serie di quadri intitolati  "Forme silenti": non nature morte, come  qualcuno impropriamente potrebbe  dire.
"I suoi quadri sono azioni in evoluzione estraniate dal ritmo del tempo. Così sono gli smalti accatastati prima del crollo, così le uova che scivolano sopra il tavolo: " Non riuscivo a fermarle" racconta Isabella, riferendosi all’attimo in cui ha dovuto arricciare la tovaglia per evitare che rotolassero sul pavimento. (…) mentre li osserviamo, i particolari  ci suggeriscono il prima e il dopo, gli indizi per costruire un racconto tra realtà e fantasia. Calici colmi di vino raccontano le chiacchiere di una tavola imbandita (…) I melograni parlano del profumo acidulo dei chicchi (…) Come per i melograni accade per i limoni: la luce del sole li bacia e ci svela una buccia granulosa con centinaia di imperfezioni (…) Proprio come accadeva per il Caravaggio, i protagonisti dei quadri di Isabella vivono nella loro naturale imperfezione. L’intuizione di Isabella di raccontare con la tecnica fiamminga della "velatura" – la quale ha bisogno di silenzio e tempo – l’attimo in cui ogni cosa "tace" e non "muore", evidenzia il rapporto tra il tempo nell’arte e il tempo nel cibo, che ben si coniugano con la filosofia del mangiar lento coniato da Slow Food." (Arianna Gandolfi ).
Osservando le tavole, è impossibile non avvertire anche il richiamo, forse involontario, al calore e alla dolcezza di una estate siciliana in quelle bucce di anguria, a metà sbocconcellate, se pur trasferito nella fresca penombra  di una stanza.
Nel 2010 prepara un book dal titolo "SPRAZZI DI LUCE NELLO SPAZIO TEMPO", presentando un nuovo ciclo di opere in cui il pennello coglie gli sprazzi di luce che irrompono e scompaiono in un lampo nella stanza di lavoro, catturandoli e seguendone la trasformazione nelle fasi in sequenza. Il book suscita  l’interesse della Fondazione Centro Studi Tonino Gottarelli di Imola che le propone una mostra per l’autunno dello stesso anno. Nella presentazione della mostra si sottolineano aspetti originali della pittorica di Isabella quali "..l’idea di mescolare intenzione e casualità, trasformando elementi della composizione in superfici  e forme sovrapposte e interconnesse con esiti visivi inaspettati. Isabella Spatafora affronta con disinvoltura tematiche differenti. Spesso unisce la tecnica delle velature ed il frottis (sfregare con il pennello colori non diluiti su strati asciutti). Preferisce imparare e approfondire dipingendo e scambiare opinioni con amici."
Ancora Domenico Amoroso: "… i dipinti costituenti la serie Sprazzi di luce nello spazio tempo, e quelli contigui ad essa, hanno allo stesso tempo la profondità sapienziale di antichi codici miniati e la freschezza miracolosa del ritrovamento".

Con la serie SPRAZZI DI LUCE, seguita nel 2015 dalla serie contigua di SPRAZZI TEMPORALI, si inaugura la collaborazione con l’Associazione Apriti Cielo!, in via Spallanzani 16, a Milano in zona Porta Venezia.
La terza mostra nello spazio citato risale al febbraio 2016, con la presentazione di  due trittici di grande dimensione, definiti dall’autrice "dipinti fantasma", ispirati al CAOS:  SOVC 1-SOVC 2. Colori diversi, molto vivaci, si intrecciano fra loro, in un complesso groviglio di linee sinuose che, tra curva e curva, ne accentuano lo scontro.
Ogni anno, nel mese di marzo, continua a mostrare le sue opere ad Apriti Cielo!, con nuove personali.
A proposito della personale del 2017, “LA PIOGGIA”, e quella del 2018, “IL PRIMITIVO CHE È IN ME”, ha scritto il critico d’arte Gianluca Ranzi.

Mai come ora si esprime nel suo vigore creativo le piena maturità di un’artista, che pare oggi più che mai libera, curiosa e vivace, quasi il trascorrere del tempo, su cui tanto si interroga, avesse infuso nuova linfa vitale alla sua pittura.

Testo a cura di Beatrice Biaggi


 
 
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